ARUNÀ CANEVASCINI
Arunà Canevascini
Arunà Canevascini
Arunà Canevascini

Nata nel 1991, Arunà Canevascini si è laureata nel 2012 presso la Vevey School of Photography e nel 2016 presso l’ECAL. Il suo lavoro è stato esposto a Lausanne, Parigi, Amsterdam, Düsseldorf e Rio de Janeiro. Nel 2016, ha vinto il premio VFG Nachwuchsförderpreis con il lavoro «Selfie». Attualmente la sua esposizione si può vedere a Zurigo, Lausanne, Basilea e Stoccarda.

Per il Gran Premio svizzero di design 2017, Canevascini propone „Villa Argentina“, un’esplorazione visuale della relazione che ha con sua madre, ambientata nella casa di famiglia nel sud della Svizzera. La madre di Canevascini, artista, è di origine iraniana. Questo background culturale si riflette nel lavoro dell’artista. „Villa Argentina“ cerca di esplorare la vita domestica, la relazione con la femminilità e questioni di migrazione.

Nell’intervista descrive in che modo l’arte può cambiare la nostra vita e come la sua fotografia ci aiuta a riflettere il mondo.

Qual è il ruolo della fotografia?

Siamo sempre più bombardati da immagini che tendono a uniformizzare e a semplificare la realtà. Ciò che si perde nel mondo è il diverso. Il medium fotografico può permetterci di vedere la realtà con altri occhi, in modo differente, e quindi tentare di comprendere meglio ciò che ci circonda. I miei scatti sono spesso il frutto di domande che mi sono posta, e spero con essi di provocare nello spettatore interrogativi e riflessioni su alcuni stereotipi e cliché, cercando quindi attraverso di esse di svelare in parte la complessità del mondo.

L’arte come cambia la vita?

Penso che l’arte possa diversificare la maniera nella quale sentiamo, vediamo e pensiamo il mondo, permettendoci di aggiungere più strati al modo, di relazionarci ad esso andando così a cambiare il nostro immaginario. Penso che questo sia un compito molto importante dell’arte.

Quali artisti ti hanno influenzato di più?

Per quanto riguarda la serie “Villa Argentina” sono stata ispirata molto dai testi di Edward Said sull’Orientalismo, e più in generale, ho approfondito la rappresentazione del mondo orientale facendo delle ricerche iconografiche su di esso. Mi sono quindi imbattuta nella rappresentazione della donna orientale nella pittura occidentale del XIX secolo. In una delle mie immagini ho deciso di mettere in discussione una di queste rappresentazioni sessiste e stereotipate della donna orientale. Nella mia interpretazione della figura dell’Odalisca mia madre ha il volto nascosto da una pentola, un oggetto tipicamente associato al lavoro casalingo. Attraverso questa fotografia ho voluto mostrare come le donne siano state rappresentate nell’arte da artisti maschi, che hanno sempre dato un’immagine di esse idealizzata, e di come la società abbia costruito idee sul ruolo che esse devono avere, andando così ad oscurare completamente la loro identità.